domenica 26 luglio 2015

Inside Out | Quando c'era Marnie | Recensione

Lo so che non si fa, che non si danno recensioni di film usciti in altre parti del mondo.
Ma io soffro di pressione bassa, la mia estate vuol dire fare lo zombie da una stanza all'altra perché in Sardegna ci sono sempre e comunque sui 30/36° ed io ne soffro tanto, non vivendo vicino al mare e non potendo passare le mie giornate ad impanarmi sulla sabbia e sbollire nell'acqua. In più i miei non c'erano e la mia voglia di studiare era come la mia pressione: sotto le scarpe. Quindi entro in uno dei tanti siti di streaming e non c'è niente di nuovo, niente di interessante per me in un periodo in cui stanno uscendo un sacco di film horror ma io soffro di una forma abbastanza forte di paura del buio e quindi mi devo orientare altrove.
Alla fine non ho resistito e mi sono guardata due cartoni, due generi completamente diversi. In lingua originale, cosa che mi fa bene perché studio lingue e mi fa male perché odio i sottotitoli e soprattutto amo il doppiaggio italiano


Inside Out (2015, USA, P. Docter & R. del Carmen) è l'ultima fatica della Disney Pixar, che uscirà in Italia il 16 Settembre, quindi c'è da aspettare. Secondo chi l'ha già visto il trailer sembra molto più divertente del film, io sinceramente non lo so. È da che mondo è mondo che i trailer usano come esca le parti migliori e quindi è normale, piuttosto se mi avessero chiesto di cosa parla concretamente il film basandomi su quella manciata di immagini avrei potuto dire che si parlava delle emozioni di una bambina che fanno un gran bel pasticcio ma nient'altro, non avrei saputo dire nello concreto che direzione prende il film.
Ho letto anche commenti che dicevano che c'era del potenziale che non è stato sfruttato ed io non so dare un'opinione nemmeno su questo: è un film sulle emozioni... come dovrebbe svilupparsi un film su qualcosa di così astratto e filosofeggiante che nel 2015 abbiamo difficoltà a capire? Ero molto perplessa all'inizio sinceramente, mi veniva difficile pensare ad un film che trattava qualcosa di così... così... difficile come le emozioni.
Invece mi è piaciuto, è divertente e commovente come solo un film uscito dalla Pixar sa essere (il mio film d'animazione preferito, UP, è dagli stessi creatori).
Il film racconta nello specifico i difficili rapporti tra le emozioni di Riley, una ragazzina vicina alla pubertà che si ritrova a dover affrontare un trasloco. A farla da padrona, in "casa Riley" è Gioia, quindi è una bambina con dei ricordi base molto felici, una bambina che ha trovato un equilibrio perfetto che le altre emozioni: Paura, Rabbia, Disgusto e Tristezza.
Tristezza è un personaggio un po' fastidioso all'inzio, fa un sacco di pasticci e crea quel bel casino che fa volare via lei e Gioia dal quartier generale e quindi fa sviluppare l'intera storia. È triste in un modo che irrita, vien voglia di scrollarla per farle riprendere un po' di voglia. Mi sono presa un nervoso terribile nei primi minuti del film, senza capire il perché dei suoi comportamenti che andavano a danneggiare Riley, ho ipotizzato una gelosia nei confronti di Gioia che era la protagonista assoluta, sempre al comando, però forse si sente semplicemente esclusa, forse è semplicemente alla ricerca di attenzioni e di quello che è il suo posto e anche la sua funzione, visto che tutti ne hanno una: rabbia le permette di difendersi, paura di mettersi in situazioni pericolose, disgusto di avvelenarsi e di integrarsi con gli altri attraverso la moda.
Quando poi però finiscono fuori dal Quartier Generale la situazione cambia, perché tristezza dimostra di essere in grado di provare quel nobile e raro sentimento che è l'empatia, mentre è Gioia a sembrare irritante, gioiosa e positiva quando ci sarebbe solo da dire "Hey, amico, questa è la mia spalla: puoi usarla per piangere anche fino a consumarla". Gioia e tutti noi capiamo una di quelle cose che dicevano i filosofi greci: senza la tristezza non ci può essere la gioia, senza la guerra non ci può essere la pace. Ogni cosa ha bisogno del suo opposto, sempre; ogni momento bello magari è legato ad un precedente triste, perché se qualcosa ci fa tornare il sorriso vuol dire che prima qualcosa che il sorriso ce lo aveva tolto. Io non so come sia stata la vostra adolescenza e la vostra pubertà, la mia all'inizio è stata terribile. Vivo in un piccolo paesino sardo, quando dovevo quando dovevo andare in terza media i miei genitori decisero di iscrivermi in un'altra scuola che si trovava in città e per me, che sono molto timida, fu difficile adattarmi e fare amicizia. Mi successe esattamente come a Riley, iniziai a fare la ribelle e ad avere rapporti antipatici con tutti perché io in quella scuola non mi trovavo bene né con i compagni né con i professori e non volevo starci, forse per questo mi ha fatto tanta tenerezza vedere quella bambina in confusione, con le sue isole che smettevano di funzionare e crollavano. Mi rendo conto che per una persona che ha avuto sempre un equilibrio perfetto questo film può sembrare un po' lagnoso, ma in realtà è carino ripensare a sé stessi in certe situazioni difficili e immaginarsi le proprie emozioni in situazioni del genere, come si faceva quando al primo pomeriggio si guardava esplorando il corpo umano e c'erano delle vere e proprie guerre dentro al nostro corpo.
Però vorrei porre all'attenzione un personaggio in particolare. Ho visto il film attirata principalmente da un personaggio che invece è una comparsinainaina, ovvero l'unicorno arcobaleno. Peccato, adoro gli unicorni! Ma quando vedevo i gadget del film spuntava sempre fuori una specie di mostro che io pensavo "ohmiodio che bruttezza è?". La bruttezza di chiama Bing bong, è l'amico immaginario della bambina e io lo adoro. È il personaggio commozione, ecco. In pratica ha la testa da elefante, io dico rosa elefante di Dumbo, la cosa da gatto ma sarebbe meglio dire stregatto, la proboscide è un cuoricino, piange caramelle, fa il verso del delfino ed il corpo è fatto di zucchero filato. Ora: io non so se avete presente una persona che non vuole crescere, ma sono io. Adoro i colori pastello, colleziono peluche, tutto ciò che è possibile avere in rosa o a forma di dolce lo voglio.La mia fortuna è che mi scambiano ancora per una sedicenne, quindi posso permettermelo ancora per qualche anno! L'ho così tanto adorato che sono andata subito a cercare piccoli gadget su amazon! È un personaggio unico, il cui unico scopo è essere ricordato dalla sua bambina che, ormai grande, l'ha cresciuto. Ho un fratello, quindi non ho mai avuto bisogno di un amico immaginario, ma sono sicuro che questo scatenerà in chi lo ha avuto dei feels fortissimi!
Non vorrei continuare a spoilerare, mi sto entusiasmando troppo e rischio di degenerare perché questo film mi è piaciuto davvero, davvero, davvero, davvero tanto! E ricordatevi di guardare i titoli di coda, mi hanno fatto morire dalle risate!
Quindi rispondo alla domanda che mi sono posta a me stessa dopo aver finito di vedere il film: che emozione sei? A primo impatto mi verrebbe da dire che sono Gioia, poi mi accorgo che sono Paura. Non parlo solo della mia acluofobia, ma anche per il fatto che è tutta la vita che evito situazioni pericolose (sarà forse perché da piccola ero molto goffa?) che anche se FORSE mi hanno evitato qualche divertimento, mi hanno permesso di non rompermi mai un osso o un dente. E voi, che emozione siete?

Passiamo a qualcosa di più triste: Quando c'era Marnie (2014, Giappone, H. Yonebayashi).
Ad essere triste non è tanto il film in sé, basato dall'omonimo romanzo J. G. Robinson, quando piuttosto il fardello che è costretto a portare. Questo film, infatti, è l'ultimo film prima dell'annunciata chiusura temporanea dello Studio Ghibli. Si presume che la chiusura sia dovuta al flop di La storia della principessa splendente (io ne parlo qui), ma già dal ritiro di Miyazaki si parlava di crisi dello studio. C'è da sperare che questa chiusura sia davvero temporanea, sono in tanti ad amare questi lavori. La cosa che mi dispiace di più è che Quando c'era Marnie è in perfetto Studio Ghibli, uno di quei lavori che hanno proprio il marchio Ghibli stampato in fronte; sarà in Italia il 24, 25, 26 Agosto. È tornato ad essere quello studio che parla ai bambini, cosa che io ad esempio non ho visto in Si alza in vento, che pur possedendo delle meravigliose scene oniriche e quel favoloso stile steampunk caratteristico affronta un tema troppo pesante, anzi due se oltre alla guerra (e soprattutto al dilemma: la guerra è necessaria per il progresso? devo appoggiarla per i miei sogni anche se non sono d'accordo?) e consideriamo sacrificio d'amore di una Nahoko morente che abbandona le cure per poter sposare il suo amato e di Jiro, che forse rassegnato (o troppo preso dal suo lavoro?) acconsente e non la rimanda indietro per curarsi, cosa che secondo alcuni è discutibile.
Quando c'era Marnie invece ha per protagonisti bambine, con tutte le insicurezza della loro età. Mi è particolarmente cara Anna perché è amsatica come me. È inoltre un personaggio introverso e molto solitario, ancora una volta come me e sono quasi sicura che anche i miei compagni facevano dei risolini nel descrivermi. Quindi, Anna è insicura, le viene un attacco d'asma e viene mandata da alcuni parenti in una zona balneare, lontana dal caos e dallo smog di Sapporo. Vi risparmio fa subito un'inutile confusione: non è davvero la zia (non so come verrà tradotto qui, con i sottotitoli si riferiva all'adottante come "zietta"), è la mamma adottiva, perché Anna è orfana e la sua rabbia è dovuta al fatto di aver scoperto che i genitori prendono dei sussidi per il suo mantenimento e si sente "comprata".
In questo piccolo paese/villaggio Anna non riesce a fare amicizia con nessuno, chiama una ragazza "grassa scrofa" per il semplice fatto di essersi infastidita per le eccessive attenzioni date ai suoi occhi azzurri, cosa rara per un giapponese, tanto che a quel punto io e mio fratello abbiamo detto quasi all'unisono che forse il suo essere emarginata non è dovuto alla sua timidezza quanto piuttosto alla sua stronzaggine o, se vogliamo essere più leggeri, alla sua incapacità di relazionarsi con gli altri. L'unica persona con cui riesce a fare amicizia è quella che lei crede essere l'immagine della sua mente, una bambina ricca ma terribilmente sola di nome Marnie, che vive in una villa raggiungibile a piedi con l'alta marea e in barca con quella alta. Marnie le crea non pochi problemi, diverse volte gli zii che la ospitano sono costretti ad andare a riprendersela. Il mistero si infittisce quando Sayaka, una bimba che sta vivendo nella villa quasi restaurata, scopre che Marnie era una persona reale, che visse in quella stanza tanti anni fa. Lei a questo punto scopre di vedere un fantasma ma non se ne cura più di tanto, a dire il vero. Continua a vederla e a cacciarsi nei guai, finché non scoprirà che lei riesce a vederla perché fra le due c'è un legame molto profondo.
Tutto questo è raccontato in soli 103 minuti, che secondo me potevano bastare anche per La principessa splendente. I disegni sono tipici dello studio Ghibli, i paesaggi sono da sogno e, anche se Anna all'inizio è una di quelle ragazzine che prenderebbe sberle anche dal Dalai Lama e anche se per una buona mezz'ora -diciamo dall'offesa fino alla scoperta del diari- c'è un'alternanza sogno-realtà un po' ripetitiva che sinceramente viene da chiedersi dove voglia andare a parare la pellicola, sul finale si riprende e, sinceramente, è tutto fuorché quello che non ti aspetti. Il tema è quello forse più caso allo Studio, la famiglia. Ci sono i fragilissimi legami, che si danno per scontati o che ci fanno sentire oppressi e costretti sono qui raccontati e quelle tutte dinamiche, quelle abitudini capaci di segnare la vita di un individuo per sempre, di plasmarlo a seconda di come gli altri sono stati con noi. Quando c'era Marnie è il racconto di una famiglia che di drammi ne ha vissuti tutti e ora ha bisogno di redimersi, di trovare un equilibrio per rendere la discendenza il più felice possibile, senza lasciare quell'alone di tristezza che è stato protagonista di una finta felicità per troppo tempo.
Piccola curiosità: Marnie assomiglia in modo esagerato a Menma, la protagonista, anch'essa fantasma dell'anime Ano Hana, all'inzio del film hanno addirittura la stessa camicia da notte. Non so se è un caso o una tradizionale rappresentazione degli spiriti giapponesi però l'ho trovata una cosa davvero curiosa, magari qualcuno mi saprà dire di più!

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