mercoledì 28 gennaio 2015

American Sniper | Recensione

Forse è la prima volta, da quando ho questo blog (6 mesi appena compiuti) che parlo di un film che non mi è piaciuto. Benché non non sia per niente in linea con i miei gusti ho deciso di guardare questo film perché tutti ne parlavano incredibilmente bene e mio fratello mi aveva già più volte chiesto di andare a vederlo. Non è stata l'eccezione che conferma la regola: American Sniper è la solita americanata, 134 minuti che si sentono tutti di puro patriottismo americano. Per gli amanti del genere sarà sicuramente piacevole, per me è stato noioso ed infinitamente lungo.

American Sniper (2014, USA, diretto da Clint Eastwood) è la storia di Chris Kyle, conosciuto per essere il più grande cecchino americano. Ha ucciso, durante le sue missioni, 160 persone confermate dal Pentagono. Penso che questa sarà la recensione più corta che farò perché, che ci crediate o no, la maggior parte del film è fatta di sparatorie, sangue e affini. Forse l'unico aspetto interessante del film è il parallelo fra Kyle e la sua nemesi, un terrorista iracheno. Kyle è un tipico trentenne americano (profondamente credente in Dio e nel suo Paese, amante della caccia e della famiglia) del Texas, che ad un certo punto della sua vita decide di mollare le gare del rodeo e dare un senso alla sua vita arruolandosi nel corpo dei Navy SEAL.

Durante l'addestramento Kyle conosce Tyla, una ragazza che si presenta a lui dicendole che non si sarebbe mai sposata con un marine per via dei rischi del loro mestiere; inoltre, mentre i due si frequentano, Kyle dimostra di avere grandi doti come cecchino. Avviene l'11 Settembre e il giorno del suo matrimonio, Chris viene chiamato in missione in Iraq. Kyle parte e la sua prima vittima è un bambino, la seconda è la sua giovane madre. Mentre Tyla lo aspetta incinta in America, lui si guadagna il sopranome di "Leggenda" per la precisione e il numero di vittime che miete durante il servizio. Torna a casa la prima volta in tempo per la nascita del suo primo figlio (il fatto che questo sia palesemente un bambolotto ha fatto infuriare diverse persone), ma si vede che in lui c'è qualcosa che non va: guarda continuamente tg che si occupano della missione irachena e per ogni minimo rumore si mette in allerta. La moglie lo rimprovera, per la prima volta, di essere presente con la famiglia solo fisicamente, non con la testa né con il cuore. Kyle ha infatti sviluppato una sorta di ossessione per due personaggi in particolare: un ex tiratore olimpico convertito al terrorismo e il braccio destro del numero uno di Al-Queda.

Nonostante le preghiere della moglie, che alla sua partenza è nuovamente incinta, Chris parte una seconda volta. Stesso nel quadretto: tante morti, fra cui quella del famoso "braccio destro" il cui ultimo gesto è conficcare un trapano prima nella gamba, poi nel cranio di un povero bambino (si vede abbastanza bene, quindi se siete sensibili come me, girate lo sguardo) e uccidere suo padre. Chris incontra in Iraq anche suo fratello, che ha un aspetto così traumatizzato che non si avvicina nemmeno a quello di una Leggenda. Per la prima volta Chris fa questa bella cosa di chiamare sua moglie nel bel mezzo di uno scontro a fuoco e lascia questa poverina con una pancia enorme in lacrime e disperata in mezzo alla strada. Comunque Chris torna a casa una seconda volta e la situazione peggiora rispetto alla prima: è assente, arriva addirittura a cercare di uccidere un cane che stava giocando con figlio e la moglie stavolta lo minaccia che se parte per la terza volta al ritorno non ci sarà più.. Lui però in Iraq non ha ancora finito, l'ex tiratore olimpico è ancora vivo.

Dalla terza partenza, parte una sorta di parallelo: su Kyle viene messa una taglia che l'ex tiratore vuole e Kyle, per contro, vuole il tiratore morto. Con un colpo impossibile, la Leggenda riesce ad averla vinta, scatenando un casino senza paragoni (durante il quale lui chiama di nuovo la povera moglie con un romantico sottofondo di proiettili) che finisce con l'unica scena "interessante" del film, ovvero una tempesta di sabbia nella quale si sentono solo urla e colpi d'arma da fuoco e si vedono solo ombre. Soddisfatto, Kyle torna a casa per sempre e sembra finalmente tornato alla normalità. Diventa persino un ottimo marito e un ottimo padre, due cose che prima aveva egoisticamente trascurato. È un fiero SEAL in congedo che si dedica ai reduci di guerra, finché uno di essi con sindrome da stress post-traumatico, lo uccide sparandolo. Aveva 38 anni.

Ora, premesso che io a questa storia della "missione di pace" non potrei crederci meno di così, che se secondo me è troppo facile andare a fare gli eroi e soprattutto i padroni in casa d'altri tanto se ci scappa la morte di un innocente "non si poteva fare altrimenti" e che a me il patriottismo americano mi manda in bestia: per quanto possa dispiacermi per un ragazzo morto giovane che lascia una famiglia che ben poco s'è goduto, questo è uno dei quattro film biografici candidati come miglior film agli Oscar. È l'unico che parla di un individuo che, se proprio vogliamo dire che ha dato qualcosa, l'ha data solo al suo paese, sacrificando per esso persino i suoi affetti. L'unico spunto di riflessione che mi ha lasciato è la conferma che la guerra fa schifo su tutti i punti, visto che il disturbo post-traumatico lo hanno anche coloro che decidono di servire il proprio paese. Però dubito fortemente che Eastwood volesse lanciare questo messaggio; è piuttosto l'elogio ad una Leggenda che porta tale nome perché ha ucciso delle persone ed io penso che non possa reggere il confronto con l'importanza che hanno ad oggi nel panorama mondiale Stephen Hawking (la teoria del tutto), Alan Turing (The imitation game), i partecipanti alla marcia di Selma (Selma). Detto questo, ribadisco che se vi piacciono i film che somigliano a delle partite di COD, questo è il film che fa per voi. Unico punto a favore, Bradley Cooper che è bellissimo.

lunedì 19 gennaio 2015

Big Eyes | Recesione

Ciao a tutti! Sono contentissima di fare questa recensione. Come forse ho già detto, Tim Burton è il mio regista preferito e non vedevo l'ora di vedere questo film. Purtroppo a causa del "problemino" di cui ho parlato nel post precedente non sono riuscita a vederlo al cinema come ho sempre fatto per i suoi film e mi sono dovuta accontentare dello streaming che per fortuna era perfetto.
Giorni prima di vedere questo film, ho avuto una discussione su facebook con una ragazza che, a suo dire, non capiva come mai una persona col suo stile faceva film del genere. Siccome non lo avevo visto, mi sono limitata a dire che un artista di qualunque campo deve sentirsi libero di sperimentare quando ne sente il bisogno. Quando altri utenti le hanno fatto presente che questo film era l'essenza di Burton, la signorina ha allora parlato di "base di costruzione" (stile e base di costruzione sono due cose completamente diverse) e quando le hanno fatto presente che anche quella era burtoniana al 100%, ha cancellato il suo post. Quindi io il film l'ho guardato con questo pensiero fisso: questo film è Burton? La risposta è che sì, lo è assolutamente almeno per me. Dico "almeno per me" perché tutto dipenda da cosa ci viene in mente appena pensiamo ai suoi lavori: questo non è un film in stop-motion, non è nemmeno nel suo tipico stile gotico/creepy burtoniano, quindi se per voi il suo lavoro è questo è altamente probabile che rimarrete delusi. Ma se per voi Tim Burton è in quei primi piani tipici dei suoi film, nelle musiche di Danny Elfman (qui presenti), nel suo uso non convenzionale dei colori allora state certi che questo film si prenderà un posticino nel vostro cuore.

Big Eyes (2014, USA, directed by Tim Burton) racconta la straordinaria storia di Margaret Keane, pittrice degli anni '60 interpretata da Amy Adams che grazie a questo ruolo ha vinto un Golden Globe. Il film inizia con una voce narrante che ci dice che Margaret lascia il suo primo marito in un periodo in cui le donne separate venivano viste di buon grado e scappa con la figlia. Si trasferisce a San Francisco dove incontriamo per la prima volta DeeAnn (Krysten Ritten) e già qui possiamo notare un meraviglioso parallelismo tra il candore della nostra protagonista e la nerezza della sua amica, sia negli abiti che nei capelli.
DeeAnn è infatti l'opposto di Margaret: la prima è una donna forte e sicura di sé mentre la seconda è così fragile e insicura da sembrare di porcellana. Nonostante la sua bravura, era molto difficile per una donna lavorare, tanto che ad un colloquio le viene chiesto se suo marito è d'accordo che lavori ed è anche anche peggio la donna è divorziata. Quindi Margaret vive (s)vendendo i suoi lavori e facendo caricature per strada a poco prezzo. È proprio qui che incontra Walter Keane, un artista come lei che di che, tuttavia pare avere la personalità adatta per vendere, grazie al fatto che il suo vero lavoro è quello di agente immobiliare. Probabilmente affascinata da quest'uomo esageratamente sicuro di sé, i due cominciano a conoscersi e Margaret arriva a spiegargli che gli occhi nei suoi disegni sono così grandi e sproporzionati perché rappresentano per lei la parte più caratterizzante di un essere umano.
Ma è quando a Margaret arriva una lettera del suo ex marito nella quale lui pretende l'affidamento della figlia. La pittrice è consapevole che la sua situazione non è delle migliori e che il marito potrebbe seriamente avere l'affidamento, Margaret accetta la tempestiva proposta di matrimonio di Walter. Al ritorno dal loro matrimonio alle Hawaii, Walter tenta invano di far esporre nelle galleria d'arte  non solo i suoi disegni, raffiguranti strade di Parigi nella quale lui afferma di aver trascorso una settimana, ma anche quelli di Margaret che vengono tuttavia bocciati perché quello era il periodo dell'arte astratta. Riesce tuttavia ad affittare i muri del corridoio del bagno del locale di Banducci. Qui riesce a vendere un primo dipinto di Margaret spacciandolo come suo ma con passare del tempo, irritato dalla posizione poco decorosa che gli era stata concessa, ha una lite con il proprietario del locale durante la quale Walter spacca in testa a Banducci un quadro con gli occhioni.
L'avvenimento suscita un tale scalpore che tutti si recano nel locale per ammirare i quadri di Margaret e ne parla persino il giornalista Dick Nolan e Kean, approfittando del cognome "Keane" continua a far passare i dipinti per suoi, nonostante l'ammonimento di Margaret che lui convince a restare a casa con la figlia per dipingere. Un giorno Margaret si reca al locale con un nuovo dipinto e qui scopre che Walter ha continuato a far spacciare per suoi i dipinti. Dopo un'accesa discussione a casa, Margaret si fa convincere che entrambi sono i "Keane" e che la loro strategia è quella di unire il talento artistico di lei alla frizzante personalità di lui.
Continua così per un bel po' di tempo, finché il signor Olivetti (notate qui il modo in cui cambia l'accento per sottolineare l'italianità del personaggio) non compra un suo quadro per cinque mila dollari. Keane diventano una vera e propria moda e Walter, genio del marketing, la cavalca mettendo aprendo una galleria personale e in vendita qualsiasi cosa rappresentante i lavori della moglie, dai poster alle cartoline. Mentre lui si gode la vita da personaggio di spicco, Margaret rimane nell'ombra divorata da quei rimorsi che le fanno vedere i suoi occhioni su di tutti, persino sé stessa. Arriva addirittura a inventarsi uno stile completamente nuovo, mentre suo marito le commissiona dei disegni fatti ad hoc per personaggi famosi che lui stessi andrà a consegnare... in pubblico, naturalmente.
Il personaggio di Margaret è sempre più pallido e quello di Walter sta arrivando alla pazzia, tanto è ossessionato dai soldi e dalla fama. Si sta sgretolando sia il loro rapporto, che quello di Margaret e sua figlia. Il terribile epilogo non tarda ad arrivare: Margaret scopre che i dipinti parigini del marito non sono in realtà i suoi e che ha una figlia, per contro Walter decide che i Keane rappresenteranno l'unicef alla mostra di NY con un disegno enorme, che causerà non poco fastidio alla nostra pittrice per la grande mole di lavoro di cui necessita. Inoltre, una volta finito ed esposto, verrà criticato da un famoso critico d'arte scatenando l'ira di un Walter ormai completamente fuori di testa e il disegno verrà ritirato. E qui c'è il momento clou del film: tornati a casa, Walter è furioso. Gioca nervosamente con dei fiammiferi dicendo che farà causa a tutti; non contento, addossa tutte le colpe su di Margaret arrivando a lanciare i fiammiferi a lei e sua figlia. Terrorizzate, le due fuggono nello studio della pittrice e qui Walter inizia a chiamarle spiando dal buco della serratura. Vi ricorda qualcosa? Esatto, Shining!
Le due riescono a fuggire dal retro e scappano alle Hawaii, dove Margaret trova la pace interiore con l'aiuto di due testimoni di Geova e Walter inizia a perseguitarla finché non si decide di passare per via legali. Vi prometto che la scena di Walter, per la prima volta impacciato, vale da sola tutto il film! Il verdetto finale vede Margaret vincitrice, non essendo stato Walter in grado di disegnare nemmeno un puntino sulla tela.
Il finale, che stavolta ho deciso di raccontarvi perché è un film biografico quindi vi basterà cercare notizie su internet per spoilerarvi da soli come va a finire, ci dà anche qualche informazione su come se la son passata dopo gli sventurati: Walter non ha mai ammesso che quelli non erano i suoi lavori e non ha mai più disegnato, Margaret ha invece continuato a disegnare e si è risposata.

Questa vicenda fece a suo tempo parecchio scalpore e Margaret fu una figura importante nello scenario femminista del tempo: all'inizio del film, fateci caso, Margaret dice qualcosa che suona molto come "senza un uomo non può stare" ed alla fine del film, dopo anni di assoggettamento e lavaggi del cervello arriva a far causa a suo marito. Si riprende in mano la sua vita e tutto quello che gli era stato rubato. Gran bel lavoro per entrambi gli attori e mi è piaciuto un sacco il modo in cui si evolve la follia di Walter. Ho sempre trovato che questo scavo nella psicologia del personaggio sia forse l'aspetto più interessante di Burton e qui è fatto davvero bene. Per il mio personalissimo gusto, questo è appena diventato il mio film preferito del mio regista preferito.

lunedì 12 gennaio 2015

Big Hero 6 | Recensione

Ciao e, prima di tutto scusate l'assenza. È imperdonabile, considerando il fatto che mi ero riproposta di essere il più costante possibile MA ho una più che valida giustificazione: come già scritto, ho avuto a Ottobre un meraviglioso virus influenzale. Diciamo che sono guarita nel giro di tre giorni e tutto è tornato alla normalità; ho ripreso ad andare in facoltà, a guardare film, a scrivere, leggere, studiare, giocare ai videogame, frequentare il corso di regia e sceneggiatura. Questo per due settimane circa, perché poi a Novembre inoltrato è iniziato l'inferno con una tosse, che mi ha tenuto a casa altro tempo ed in pratica ogni volta che osavo mettere il muso fuori di casa perché mi sembrava che la situazione fosse migliorata, il sintomo ritornava e per di più peggiorava. Quindi sono andata dal medico, che mi ha dato delle medicine e, finita la terapia, dopo due giorni è successo il misfatto: due giorni con fiato corto, con il petto di marmo, con la notte che sembravo preda di una delle peggiori possessioni demoniache che avrebbero fatto accapponare la pelle anche al caro Friedkin. Risultato: Domenica (perché queste cose accadono sembra nei giorni non feriali) non riuscivo nemmeno a mettermi una giacca quindi i miei mi hanno portato dalla guardia medica, dove ho scoperto che avevo in circolo da due giorni circa, una crisi asmatica. Puntura e puff, portata per sicurezza al pronto soccorso. Buttata lì fino alle 7 di sera circa, dopo una radiografia e senza dirmi niente mi fanno sedere in un lettino mi mettono il saturimetro. Quindi, con tanto di faccia allarmata e ancora senza dirmi niente, decidono di chiudere la tendina e iniziano a farmi diverse analisi. Ora: io dell'asma ne sapevo poco e niente, più o meno quanto ne ho visto nei film e soprattutto ho il terrore degli aghi. Speravo di cavarmela con un «tieni, comprati un inalatore e quando stai male usalo» invece mi sono trovata con un'infermiera che mi bucava ripetutamente il braccio nel disperato tentativo di farmi un emogas (che fino ad allora non avevo la più pallida idea di cosa fosse e sinceramente avrei preferito non saperlo) e un'altra nell'altro braccio che cercava disperatamente le mie vene per farmi un prelievo, il tutto condito che domande del cazzo del tipo «ma si può sapere dove hai le vene?» alla sottoscritta in lacrime perché, dulcis in fundo, mi avevano appena detto che avrei passato la notte in osservazione.
Sorvoliamo pure sulla notte in ospedale, perché davvero, farebbe deprimere anche voi. Vi dico solo che da quel che ho capito ho una bronchite (che mi aveva già mandato in ospedale quando avevo otto anni) non curata, che ha portato ad un'infiammazione che bronchi, che ha scatenato una crisi asmatica di natura allergica. Allergia/e che non so assolutamente di che natura è/sono.
Quindi al momento la mia situazione è questa: posso uscire di casa solo in casi di estrema necessità perché l'allergia potrebbe essere causata da qualche polline e non so se la bronchite, nonostante una divertentissima e lunghissima cura con l'aerosol, è passata del tutto ed inoltre mi sono ritrovata a dover recuperare in poco tempo tutto il materiale che avrei dovuto studiare a lezione e nei giorni in cui sono stata male. E, in tutto questo, ho potuto guardare solo Big Hero 6 in streaming e non posso andare al cinema né a vedere Paddington né a vedere Big Eyes perché devo evitare il più possibile i luoghi affollati.
Ah, e ho pure dovuto togliere i miei peluche/gadget/qualsiasi cosa dalla camera e vi posso assicurare che per me è stata una tragedia così come è una tragedia convincere me stessa a non acquistare altre di queste cose, almeno finché non sono sicura che il problema non è la polvere.


Ma, dopo questa mica-tanto-breve parentesi del cui contenuto non fregava un ceppo a nessuno, passiamo al sodo: Big Hero 6 (2014, animazione, D. Hall e C. Williams) è probabilmente uno dei più bei capolavori dell'animazione Disney degli ultimi tempi, di quelli che ti lasciano dell'amaro in bocca più di una volta e che quando finisci di vederli ti asciughi una lacrima superstite e dici solo WOW.
È basato sull'omonimo fumetto della Marvel, la cui acquisizione da parte della Disney è avvenuta nel 2009. Purtroppo non ho letto il fumetto, quindi non posso dirvi le differenze che possono esserci, però posso assicurarvi che Baymax ha totalmente e incondizionatamente rubato il mio cuore.


È ambientata a San Fransokyo e quasi tutti i personaggi principali hanno nomi che ricordano molto il Giappone: Hiro, il protagonista, è un giovane talento. Ha appena 14 anni ed è già diplomato e siccome si ritrova un sacco di tempo libero, progetta piccoli e temibili robot da portare ai bot duelli. In quell'ambiente non ha sicuramente una buona fama, anche perché, diciamocelo, ha un atteggiamento un po' da sbruffone. A salvarlo ogni volta c'è il suo amato fratello Tadashi, che ogni volta finisce nei guai insieme a lui e tocca a loro zia Cass riportare definitivamente l'ordine. Perché vivono con la zia? Hiro e Tadashi sono orfani. Questo è probabilmente il motivo per cui Tadashi desidera che il fratello entri all'Istitute of Technology, dove lo porta e gli presenta i suoi colleghi: Gogo Tamago, Wasabi, Honey Lemon e la mascotte Fred. Hiro conoscerà inoltre il direttore Robert Callaghan, che esprimerà il suo desiderio di averlo in istituto e quindi la sua partecipazione al "test d'ingresso" e soprattutto incontra Baymax, un morbidissimo robot da primo soccorso che è il progetto cui il fratello lavora da tempo.



Hiro quindi userà tutta la sua conoscenza e si presenterà al test con i microbot, ovvero dei robot minuscoli che funzionano con controllo mentale e che rappresentano una grandissima innovazione. Questi microbot faranno gola a Alistair Krei, un industriale che cercherà di comprarli. Hiro rifiuta e la rabbia nel viso di Krei non fa pensare a nulla di buono.
Viene naturale quindi, pensare a lui per quello che succederà dopo: un incendio scoppia all'istituto e Tadashi non esista a buttarsi tra le fiamme per salvare Callaghan. Tadashi muore, Hiro si ritrova solo di nuovo. Cade in una profonda tristezza che nemmeno Baymax, che Tadashi aveva portato a casa sua non si sa bene quando, riesce ad alleggerire. Durante un'esilarante conversazione con candido Baymax, Hiro scopre che l'unico microbot superstite dall'incendio cerca di liberarsi dall'involucro che lo contiene per muoversi in una direzione ben precisa: il microbot cerca di raggiungere altri suoi simili. I due si trovano quindi a seguire, come se fosse una bussola, la direzione segnata dal microbot, fino a giungere ad una vecchia industria all'interno della quale qualcuno sta producendo i microbot in serie massicce. E quel qualcuno appare come Yokai, un misterioso individuo con maschera Kabuki che tenta per la prima volta di uccidere i due sventurati compagni.
Riusciti a salvarsi, i due tornano a casa e Hiro capisce da subito che la morte del fratello non è stata un caso. Decide quindi di scoprire chi si nasconde dietro la maschera e per farlo costruisce una possente armatura a Baymax, scatenando in lui crisi esistenziali e inserisce, accanto al chip medico del fratello, un secondo dove lui ha inserito delle mosse di arti marziali che Baymax potrà apprendere all'istante. Nella notte decidono di seguire nuovamente il microbot, ma Yokai ne ha costruito tanti che le nuove abilità di Baymax non sono abbastanza. I due sembrano spacciati, di nuovo. MA in soccorso arriva Wasabi e tutto il resto delle squadra (precedentemente contattati da Baymax nel tentativo di migliorare l'umore del suo piccolo amico), che grazie alla macchina riescono a fuggire dal pericoloso criminale anche se con non poche difficoltà.

Vanno quindi a casa di Fred scoprendo che è ricchissimo dove, una volta sistemati, si decide sul da farsi: tutti sono convinti che l'incendio sia stato programmato, che l'attentatore sia il ricco Krei e che bisogna fermarlo. Usando le straordinarie conoscenze di tutti, vengono creati dei piccoli attrezzi che trasformeranno tutti loro in piccoli eroi e anche le abilità di Baymax saranno migliorate. È proprio grazie ad una di queste che riescono a localizzare Yokai, che si trova in una piccola isola, all'interno della quale è presente quella che sembra essere un'altra fabbrica dismessa. Lì ci sono dei vecchi filmati che mostrano Krei e una piccola equipe presentare a degli investitori quello che sembra essere un teletrasportatore. Ma qualcosa va storto, il portale si rompe e Abigal, la "cavia", rimane bloccata chissà dove.
Yokai attacca i ragazzi e dopo un faticosissimo scontro i ragazzi riescono a togliergli la maschera che controlla i microbot. Yokai non è Krei, è il professor Gallaghan. Hiro accecato dal doloroso pensiero che la morte di suo fratello sia stata causata dall'uomo per cui lui si è sacrificato, toglie il chip medico a Baymax trasformandolo in una macchina di distruzione e scagliandolo contro il professore, al momento indifeso. Honey Moon riesce a salvarlo ed Hiro e Baymax tornano a casa. Hiro cerca di togliere di nuovo il chip medico al robot, che accortosi della sua rabbia, decide di mostrargli i video che Tadashi si faceva durante la sua creazione.

Hiro ha quindi capito che il fratello non avrebbe voluto né che Baymax cambiasse, né la vendetta. Torna dai suoi amici che nel frattempo hanno fatto l'agghiacciante scoperta: Abigail era la figlia di Gallaghan, quindi lui vuole vendicarsi di Krei.
Gallaghan ha infatti aperto un altro portale con l'intento di far sparire prima le sue industrie, poi Krei, ma l'intervento della squadra rovinerà i suoi piani: staccando i microbot l'uno dall'altro, questi vengono assorbiti dal portale e quindi una volta esauriti il professore avrà perso la sua unica arma. Ma mentre i poliziotti arrestano Gallaghan, Baymax sente la presenza di vita umana all'interno del portale: volati dentro, Hiro e il robot scoprono che Abigail ha dormito in un sonno perpetuo tutto questo tempo. L'uscita però, si rivela letale per Baymax, perché il portale si sta spegnendo e il pugno razzo è l'unica speranza di salvezza per Hiro e la ragazza. Baymax quindi si sacrifica per tutti...

MA COLPO DI SCENA! L'animazione che ci piaccia o no è pur sempre destinata ai bimbi, quindi non finisce così, tranquilli! Il finale ha portato me e i ragazzi con cui ho fatto il Capodanno ad una lunghissima conversazione notturna sul se noi siamo il nostro corpo o la nostra mente e soprattutto se queste due cose sono scindibili. Inutile dire che a me è piaciuto un sacco, considero Baymax tenero quando Sdentato, è davvero ma davvero qualcosa di inimitabile! Quindi nulla, io ve lo consiglio perché come al solito i cartoni hano da insegnare più agli adulti che ai bambini!