venerdì 29 agosto 2014

Cinema asiatico contemporaneo: tre belle proiezioni da vedere

Diciamo che in passato non amavo i film asiatici eccetto qualche proiezione che non si può non lodare come La foresta dei pugnali volanti o La tigre e il dragone. Probabilmente il mio astio nasce dal fatto che mal sopporto i film con scene lunghe e inconsistenti, spesso con pochissimi dialoghi (come ce ne sono taaaanti francesi dello stesso tipo, ad esempio Il figlio, che ho visto ieri).
Ah, a proposito, io faccio parte di quelle poche anime a cui 47 Ronin è piaciuto. Certo, non ho tanto gradito che i Tengu fossero "snasati", ma per il resto mi è piaciuta moltissimo la rivisitazione della storia e dopo averlo visto in streaming mi sono fiondata al cinema per vederlo in HQ.
Tornando a noi, sono solita noleggiare i dvd nella biblioteca del mio paese e qualche volta vengono portate anche certe perle che nessuno mai prende perché ad esse vengono preferiti titoli più noti... e americani. Mia madre però prende in pratica tutto quello che non ha visto, infatti credo di aver guardato anche una quantità non indifferente di film sul medio oriente -magari come mi tornano in mente pian piano, faccio un listone e gli dedico un post-. E per un paio di pomeriggi di fila, insieme, dopo pranzo, ci siamo concesse tre la visione di tre piccole e silenziose proiezioni made in Asia, un continente che si sta prepotentemente prendendo un posto speciale nel mio cuore.

 The Bow (활 Hwal, 2005, Corea del Sud, directed by Kim Ki-duk). Premessa: se non vi piacciono e vi annoiano a morte i film con pochi dialoghi, rinunciare in partenza, ci lascereste le penne di sicuro. E quando dico "pochi dialoghi" son seria: per la bellezza di 90 minuti i protagonisti non dicono una parola, nemmeno una. Al limite emettono qualche suono (una risata, un lamento, un, ehm... gemito), gli unici dialoghi sono quelli che i pescatori hanno fra di loro o cercano di avere con i protagonisti. Ve li voglio proprio presentare questi due muti personaggi: un uomo di sessant'anni e una ragazza di appena 16. Per buona parte del film ho creduto che l'uomo avesse salvato la bambina da chissà quale avversità e mi sbagliavo: l'egregio signore ha rapito la bambina quando questa aveva appena sei anni, se l'è portata sulla nave e ora attende il suo diciassettesimo compleanno per sposarla. La ragazza, pover'anima, non ha capito nulla di tutto questo e lascia che l'uomo si prenda cura di lei come un padre (un padre abbastanza pudico, le fa il bagno ogni sera ma non la guarda mai nuda), che intanto ogni santissima notte segna sul calendario i giorni che mancano a coronare il suo sogno d'amore. I due campano affittando la nave ai pescatori, uomini che spesso molestano l'ingenua sedicenne e che l'uomo prontamente minaccia con arco & frecce e predicendo il futuro con l'ausilio per sopracitato strumento, facendo un rito pericoloso e abbastanza ansiogeno.
Un giorno arriva alla barca un ragazzo liceale e si innamora della ragazza, che lo ricambia. Qui la situazione inizia a farsi più complessa: l'uomo si ingelosisce, la ragazza infastidita lo provoca e nel frattempo e scopre del matrimonio. Decide di lasciare la nave con l'aiuto del ragazzo che, non riuscendo ad accettare la situazione, ha rintracciato i genitori di lei che ancora la cercano. L'uomo anziano, non riuscendo ad accettare la fuga di lei, cerca di uccidersi, lei lo capisce, torna indietro e decide di SPOSARLO (ebbene sì). Il tutto difronte a quel povero ragazzo che si è fatto in 4 per cercare di salvarla, rischiando più volte di pungersi il culo grazie alle frecce gelose del vecchio arciere. Quando gli sposini prendono il largo per consumare le nozze mentre il ragazzetto rimane sulla nave con due galline, il vecchio improvvisamente capisce che non può averla e che non sarebbe giusto (o almeno questo è quello che ho dedotto io), quindi si butta in mare. La bella signorina mentre lui faceva queste considerazioni morali, ne ha approfittato per farsi un pisolino, quindi si accorgerà di esser vedova solo al suo risveglio. Ma è qui che accade una cosa meravigliosa, la scena più bella del film... che non ho alcuna intenzione di rivelarvi.
Ora, anche se ne parlo in toni estremamente ironici, il film mi è piaciuto molto. Come storia è un po' paradossale, però se avete abbastanza pazienza ed intuito, credo che si meriti un po' del vostro pomeriggio.

Poetry (Shi, 2010, Corea dl Sud, directed by Lee Chang-dong). Una ragazza si suicida e dal suo diario vien fuori che ha compiuto l'orribile gesto dopo aver subito per mesi violenza da parte dei suoi compagni. Nel frattempo Mija, donna affetta da alzheimer, badante che vive assieme al nipote affidatogli dalla madre a seguito della sua separazione, si iscrive ad un corso di poesia. Il maestro del corso chiede ai suoi allievi di scrivere una poesia da leggere poi in classe l'ultimo giorno ed il film gira proprio intorno alla ricerca d'ispirazione della donna che, a causa dei motivi che fra poco vi spiegherò, non riesce a mettere insieme più versi. La vita della donna e quella della ragazza suicidata si intersecano, infatti, nel peggiore di modi: tra i ragazzi che hanno stuprato la ragazza c'è anche il suo amato nipote. Alla riunione con i padri degli altri ragazzi stupratori Mija viene a conoscenza del fatto che c'è la possibilità di occultare il fatto (e garantire di conseguenza un futuro ai ragazzi) pagando ai genitori della malcapitata una cifra che la donna, visto il suo modesto lavoro e la sua misera pensione, non può assolutamente permettersi. Tutto questo, unito al senso di colpa per il gesto del nipote dopo aver conosciuto la madre della ragazza, la porteranno in un momento di debolezza a sfogarsi con un poliziotto e raccontagli l'accaduto. La donna farà sesso con l'uomo per cui lavora, invalido, per poi ricattarlo ed avere così i soldi da dare ai genitori della suicidata. Il nipote verrà arrestato e la Mija finalmente avrà la coscienza libera e sarà in grado di comporre la tanto desiderata poesia.
Il finale è un po' enigmatico, quindi non mi sembra corretto darvi la mia versione.


A Simple Life (Tao Jie, 2011, Hong Kong, directed by Ann Hui). A Simple Life è un film, semplice. Semplicemente splendido. Racconta la storia vera di Roger Lee (Leung nel film) e della sua amah (qualcosa di simile ad una governante) Ah Tao. Ah Tao lavora per la famiglia Leung da quando aveva appena tredici anni e quando tutti si son trasferiti in America, lei si occupa di Roger, rimasto in Cina dove lavora come produttore cinematografico. Un giorno Ah Tao ha  un'infarto che le cause un'emiparesi a seguito della quale decide di ritirarsi in una casa per anziani. Roger decide di pagare tutto e non è disposto ad abbandonarla: andrà a trovarla e si occuperà di lei fino alla fine. Come ho detto, è un film semplice ma di una sostanza incredibile. L'affetto e la gratitudine che tutta la famiglia Roger prova nei confronti di Ah Tao mi ha riempito il cuore, davvero. E il tutto si racchiude nella frase di chiusura al funerale di Ah, quando Roger semplicemente, dice «Ah Tao è stata un dono del cielo per la nostra famiglia»

mercoledì 27 agosto 2014

Apartheid films, i cinque migliori secondo me

Lo so, lo so, lo so. Non pubblico tipo da due settimane e di questo passo non andrò tanto lontano. E la cosa più bella di tutte è che NON ho ancora avuto la possibilità di vedere un bel filmone nuovo, però in compenso, mentre lavoravo (ecco qui il motivo per cui non ho aggiornato la mia creatura) e guardavo un film sull'apartheid, mi è venuto in mente l'ennesima lista di film imperdibili.
È un argomento che mi sta molto a cuore e credo che sia un argomento ancora molto attuale, soprattutto dopo la recente morte di Michael Brown e Kajieme Powel.
Premesso che purtroppo non ho ancor visto 12 anni schiavo, ecco i 5 film migliori sull'apartheid in ordine cronologico:

Il buio oltre la siepe (To kill a Mockingbird) è un film del 1962, in bianco e nero. L'apartheid qui è una storia di "contorno": a fare da protagonista infatti, è l'innocente curiosità di Jem e Scout nei confronti del loro vicino malato di mente Boo. Il razzismo qui è raccontato tramite l'avvocato Taylor, padre dei ragazzi, che decide nonostante le innegabili difficoltà del caso di difendere Tom Robinson, un tuttofare nero accusato da signor Bob Ewell di aver violentato sua figlia. Taylor riesce a provare l'innocenza di Robinson ma i giudici, sopraffatti dall'odio razziale, decidono di condannarlo lo stesso. Il povero tuttofare, disperato, si suicida ed è particolarmente straziante la scena in cui i parenti dell'uomo vengono a conoscenza della sua morte. L'avvocato, almeno, riuscirà a smascherare Ewell e ad accusarlo pubblicamente di essere stato lui, in realtà a violentare la figlia. Non spoilero il finale perché so che molti ancora non l'hanno visto.

La vita segreta delle api (The segret life of bees) è un bellissimo film del 2008. Durante un violento litigio tra i genitori la piccola Lily, rinchiusa nel suo armadio, uccide sua madre. Durante l'adolescenza Lily decide di scappare insieme alla sua tata-governante, per sfuggire dal padre violento e scoprire se le dure parole che l'uomo usava riferendosi ala sua madre defunta corrispondessero al vero. Dopo lungo vagare, finisce in una piccola casa di campagna rosa caraibico, dove delle donne di colore producono un pregiatissimo miele chiamato la Madonna Nera e, tempo addietro, ospitarono la madre della ragazza sia nell'adolescenza che quando decise di fuggire dal marito che la maltrattava. Lily proverà l'apartheid in prima persona quando il ragazzo che lavora nella piccola ditta viene arrestato senza motivi per precisi e una delle tre sorelle, mentalmente instabile, non regge al dolore per l'accaduto e si suicida , consapevole dal fatto che i neri che vengono arrestati, o meglio rapiti, difficilmente potranno far ritorno a casa propria.


Non poteva mancare all'appello The Help, di cui ho anche letto il romanzo. Un film che mi ha fatto piangere sinceramente. Credo sia un film abbastanza conosciuto, ma io ve lo racconto lo stesso: Skeeter è un'ispirante scrittrice e giornalista, figlia di una famiglia facoltosa e, come tutte le ragazze del quartiere, cresciute dalle proprie tate afroamericane. Al suo rientro dall'università scopre che Costantine, la sua tata, non lavora più per la sua famiglia ma i tristissimi motivi, li scoprirà solo alla fine del film. Skeeter non si presenta come le altre sue coetanee, la cui aspirazione di vita è sfornare figli e vivere agiatamente, infatti mette al primo posto la propria carriera. Inoltre non solo si mostra ben disposta verso le governanti, ma si ritrova anche molto infastidita dai comportamenti razzisti delle sue amiche (come un bagno separato per chi è di colore) dalle quali piano piano di allontanerà. Solo la bella Celia Foote (anch'essa esclusa dal gruppo) e suo marito dimostrano, nell'intero quartiere, di avere una mentalità aperta nei confronti delle governanti.
Skeeter decide di scrivere un libro sulla vita delle governanti. Inizialmente sono solo due le governanti disposte ad accettare questo rischio: Aibileen, che cerca giustizia per suo figlio e il personaggio più spinoso del film Minny, che a seguito del licenziamento è mossa da un odio verso i bianchi che si placherà solo quando Celia si mostrerà rispettosa con lei. Quando Medgar Evers verrà assassinato tutte le donne si uniranno al progetto e tutte, in un certo senso, riusciranno a vendicarsi dei soprusi ricevuti raccontando particolari delle vite delle famiglie per cui hanno lavorato.

Django Unchained racconta credo il periodo peggiore dell'apartheid americano, quando gli uomini erano schiavi di grandi proprietari terrieri. Django lavora, insieme a sua moglie, nelle piantagioni. Un giorno viene separato dall'amata per essere venduto altrove. Durante l'attraversata viene intercettato da un cacciatore di taglie tedesco, il dottor King Schulz che ha bisogno di lui per ritrovare due malviventi. I due stringono un patto secondo il quale, in seguito all'arresto dei due malviventi, Django sarebbe diventato un uomo libero. I due si affezionano e cominciano a lavorare insieme e al momento di lasciarsi Schulz decide di aiutare Django a completare quello che era sempre stato il suo obbiettivo: ritrovare e liberare sua moglie Broomhilda. Inutile dire che, essendo di Tarantino il film è tanto, tanto, tanto violento e che il sangue scorre a fiotti, dalla prima alla seconda scena. Comunque funziona, rende bene l'idea: una mia carissima collega ha insistito tanto affinché lo vedessi e ora posso dire che ha fatto bene: in fin dei conti tutta quella crudeltà corrisponde al vero, ma almeno ci concede un sanguinosissimo lieto fine.

L'ultimo è The Butler. Ovvero un film che racconta i disagi fra un padre maggiordomo, fiero devoto ai bianchi e convinto di meritarsi un trattamento differente e suo figlio Louis, un giovane universitario attivista che non china la testa e lotta la uguali diritti.
Cecil Gaines è un maggiordomo alla casa bianca che ha passato la sua infanzia in una piantagione. Lì ha visto sua madre venir stuprata dal padrone che ha subito dopo sparato a suo padre che ha osato ribellarsi e di nuovo sua madre chiudersi in un mutismo post-traumatico. A seguito dei tragici eventi, la madre del padrone lo prese sotto la sua ala dove imparò a prendersi cura di bianchi e ad amare farlo. Cresciuto, abbandonò la piantagione e fece carriera, tanto da riuscire a diventare il maggiordomo per ben sette presidenti americani (da Eisenhowher a Regan ) e si fece una famiglia. Inizialmente a Cecil non sembra importare delle disuguaglianze tra i maggiordomi neri e quelli bianchi che lavorano alla Casa Bianca e rompe i rapporti col figlio che entra ed esce di galera a seguito alla manifestazioni di cui è promotore, ma quando il figlio più piccolo si arruola in Vietnam per servire il paese e muore, il suo atteggiamento cambia: inizia a chiedere come mai, ad esempio, i maggiordomi neri siano pagati la metà di quelli bianchi e in cambio riceve solo minacce di licenziamento, nonostante Cecil sia amatissimo alla Casa Bianca. Ma è quando Luther King muore e il figlio riesce ad entrare in politica, giudicato come un "eroe" che Cecil non chiede ma pretende, forte anche dell'atteggiamento sempre più tollerante dei presidenti che man mano si susseguono.

giovedì 7 agosto 2014

Qualche riflessione sullo studio Ghibli

Domenica è arrivata una notizia sconvolgente per tutti gli amanti dell'animazione e del Giappone: lo studio Ghibli avrebbe chiuso i battenti...
...poi si è rivelato tutto un errore di traduzione: in realtà ci sarà solo una ristrutturazione generale degli studi. E quindi niente. Ci siamo spaventati per niente.
Cioè, parliamoci chiaro: mi ricordo ancora quando ho letto la notizia che Miyazaki si sarebbe ritirato. Mi ricordo l'attimo esatto, è stato un po' come quel momento in cui i tuoi genitori ti dicono che Babbo Natale non esiste.

Però il punto non è questo. Su internet ho letto commenti del tipo «ma se Miyazaki non c'è più, allora è meglio che chiuda». Io non la penso così, sinceramente. Gli studi Disney non sono morti insieme al signor Walt, sfornano ancora capolavori su capolavori (tra un po' esce Big Hero 6 ed io mi sono innamorata già dal trailer). Inoltre Miyazaki ha assicurato che rimarrà agli studi per tenere sotto controllo l'andamento generale dei Ghibli, quindi chi dubita può pure tirare un sospiro di sollievo. Io non ho paura di questo e i "motivi" sono principalmente due... anzi tre:

Il primo si chiama Isao Takahata, co-fondatore degli studios. Lui è ancora nel pieno dei giochi ed è quel personaggio che deve ricordarvi che "Ghibli" non è sinonimo di "Miyazaki". Isao ha prodotto una delle mie opere preferite dello studio Ghibli: Pom Poko, noleggiato nella biblioteca del mio paese. Si trovava nella sezione dei bambini, non l'aveva mai noleggiato nessuno (triste destino che condividono molte pellicole nipponiche). Pom poko è la traduzione onomatopeica del verso dei Tanuki, dei canidi simili al procione che si trovano in Asia. Sono moooooolto, molto carini. Comunque, in sostanza, il film racconta della lotta dei tanuki per riprendersi la loro collina, ormai sotto il controllo degli umani (un po' come Princess Mononoke, che uscirà 3 anni più tardi). Per cercare di salvare il proprio territorio si rifaranno a quella capacità attribuitagli dalle leggende giapponesi: si trasformeranno, in umani. Ah, e useranno i loro... ehm, testicoli, per aiutarsi in certe situazioni. Un'altra opera a me molto cara dello studio è Una tomba per le lucciole. Non vi voglio spoilerare niente, vi consiglio solo di munirvi di fazzoletti, soprattutto se avete la lacrima facile come me. Alla regia c'è sempre Takahata: il primo motivo per cui continuerò ad avere fiducia nello studio.


Il secondo motivo di chiama Gorō Miyazaki, ed è il figlio di Hayao. Lo so che è stato molto criticato, ma a me I racconti di Terramare sono piaciuti e comunque, dobbiamo considerare che era la opera del debutto. E diciamocelo, già con La collina dei papaveri si vede un netto miglioramento. Diciamo che sembra aver ereditato dal suo papà e, questo, è il secondo motivo.

L'ultimo motivo è Hiromasa Yonebayashi , il regista del mio film preferito in assoluto dello studio Ghibli: Arrietty - il mondo segreto sotto il pavimento. Racconta una storia in stile pollicino, ma in perfetto stile Ghibli. L'ho visto 3 volte in pochissimo tempo, ne sono rimasta entusiasta. Il 19 Luglio è uscito Omoide no Marnie. È un film importante, che ha incassato molto ed ha rappresentato uno spiraglio di luce nel periodo buio tra il ritiro di Hayao e il flop de La principessa splendente. Non l'ho ancora visto, ma io del gusto dei giapponesi tendo a fidarmi. 


E questi sono 3 motivi, attuali. Ma arriveranno altri registi, nuovi, portatori di  novità. Che spero sapranno conservare la tradizione e al tempo stesso dare nuove linee allo studio. Non è ancora tempo di crisi per lo studio Ghibli... probabilmente non lo sarà mai.