domenica 26 luglio 2015

Inside Out | Quando c'era Marnie | Recensione

Lo so che non si fa, che non si danno recensioni di film usciti in altre parti del mondo.
Ma io soffro di pressione bassa, la mia estate vuol dire fare lo zombie da una stanza all'altra perché in Sardegna ci sono sempre e comunque sui 30/36° ed io ne soffro tanto, non vivendo vicino al mare e non potendo passare le mie giornate ad impanarmi sulla sabbia e sbollire nell'acqua. In più i miei non c'erano e la mia voglia di studiare era come la mia pressione: sotto le scarpe. Quindi entro in uno dei tanti siti di streaming e non c'è niente di nuovo, niente di interessante per me in un periodo in cui stanno uscendo un sacco di film horror ma io soffro di una forma abbastanza forte di paura del buio e quindi mi devo orientare altrove.
Alla fine non ho resistito e mi sono guardata due cartoni, due generi completamente diversi. In lingua originale, cosa che mi fa bene perché studio lingue e mi fa male perché odio i sottotitoli e soprattutto amo il doppiaggio italiano


Inside Out (2015, USA, P. Docter & R. del Carmen) è l'ultima fatica della Disney Pixar, che uscirà in Italia il 16 Settembre, quindi c'è da aspettare. Secondo chi l'ha già visto il trailer sembra molto più divertente del film, io sinceramente non lo so. È da che mondo è mondo che i trailer usano come esca le parti migliori e quindi è normale, piuttosto se mi avessero chiesto di cosa parla concretamente il film basandomi su quella manciata di immagini avrei potuto dire che si parlava delle emozioni di una bambina che fanno un gran bel pasticcio ma nient'altro, non avrei saputo dire nello concreto che direzione prende il film.
Ho letto anche commenti che dicevano che c'era del potenziale che non è stato sfruttato ed io non so dare un'opinione nemmeno su questo: è un film sulle emozioni... come dovrebbe svilupparsi un film su qualcosa di così astratto e filosofeggiante che nel 2015 abbiamo difficoltà a capire? Ero molto perplessa all'inizio sinceramente, mi veniva difficile pensare ad un film che trattava qualcosa di così... così... difficile come le emozioni.
Invece mi è piaciuto, è divertente e commovente come solo un film uscito dalla Pixar sa essere (il mio film d'animazione preferito, UP, è dagli stessi creatori).
Il film racconta nello specifico i difficili rapporti tra le emozioni di Riley, una ragazzina vicina alla pubertà che si ritrova a dover affrontare un trasloco. A farla da padrona, in "casa Riley" è Gioia, quindi è una bambina con dei ricordi base molto felici, una bambina che ha trovato un equilibrio perfetto che le altre emozioni: Paura, Rabbia, Disgusto e Tristezza.
Tristezza è un personaggio un po' fastidioso all'inzio, fa un sacco di pasticci e crea quel bel casino che fa volare via lei e Gioia dal quartier generale e quindi fa sviluppare l'intera storia. È triste in un modo che irrita, vien voglia di scrollarla per farle riprendere un po' di voglia. Mi sono presa un nervoso terribile nei primi minuti del film, senza capire il perché dei suoi comportamenti che andavano a danneggiare Riley, ho ipotizzato una gelosia nei confronti di Gioia che era la protagonista assoluta, sempre al comando, però forse si sente semplicemente esclusa, forse è semplicemente alla ricerca di attenzioni e di quello che è il suo posto e anche la sua funzione, visto che tutti ne hanno una: rabbia le permette di difendersi, paura di mettersi in situazioni pericolose, disgusto di avvelenarsi e di integrarsi con gli altri attraverso la moda.
Quando poi però finiscono fuori dal Quartier Generale la situazione cambia, perché tristezza dimostra di essere in grado di provare quel nobile e raro sentimento che è l'empatia, mentre è Gioia a sembrare irritante, gioiosa e positiva quando ci sarebbe solo da dire "Hey, amico, questa è la mia spalla: puoi usarla per piangere anche fino a consumarla". Gioia e tutti noi capiamo una di quelle cose che dicevano i filosofi greci: senza la tristezza non ci può essere la gioia, senza la guerra non ci può essere la pace. Ogni cosa ha bisogno del suo opposto, sempre; ogni momento bello magari è legato ad un precedente triste, perché se qualcosa ci fa tornare il sorriso vuol dire che prima qualcosa che il sorriso ce lo aveva tolto. Io non so come sia stata la vostra adolescenza e la vostra pubertà, la mia all'inizio è stata terribile. Vivo in un piccolo paesino sardo, quando dovevo quando dovevo andare in terza media i miei genitori decisero di iscrivermi in un'altra scuola che si trovava in città e per me, che sono molto timida, fu difficile adattarmi e fare amicizia. Mi successe esattamente come a Riley, iniziai a fare la ribelle e ad avere rapporti antipatici con tutti perché io in quella scuola non mi trovavo bene né con i compagni né con i professori e non volevo starci, forse per questo mi ha fatto tanta tenerezza vedere quella bambina in confusione, con le sue isole che smettevano di funzionare e crollavano. Mi rendo conto che per una persona che ha avuto sempre un equilibrio perfetto questo film può sembrare un po' lagnoso, ma in realtà è carino ripensare a sé stessi in certe situazioni difficili e immaginarsi le proprie emozioni in situazioni del genere, come si faceva quando al primo pomeriggio si guardava esplorando il corpo umano e c'erano delle vere e proprie guerre dentro al nostro corpo.
Però vorrei porre all'attenzione un personaggio in particolare. Ho visto il film attirata principalmente da un personaggio che invece è una comparsinainaina, ovvero l'unicorno arcobaleno. Peccato, adoro gli unicorni! Ma quando vedevo i gadget del film spuntava sempre fuori una specie di mostro che io pensavo "ohmiodio che bruttezza è?". La bruttezza di chiama Bing bong, è l'amico immaginario della bambina e io lo adoro. È il personaggio commozione, ecco. In pratica ha la testa da elefante, io dico rosa elefante di Dumbo, la cosa da gatto ma sarebbe meglio dire stregatto, la proboscide è un cuoricino, piange caramelle, fa il verso del delfino ed il corpo è fatto di zucchero filato. Ora: io non so se avete presente una persona che non vuole crescere, ma sono io. Adoro i colori pastello, colleziono peluche, tutto ciò che è possibile avere in rosa o a forma di dolce lo voglio.La mia fortuna è che mi scambiano ancora per una sedicenne, quindi posso permettermelo ancora per qualche anno! L'ho così tanto adorato che sono andata subito a cercare piccoli gadget su amazon! È un personaggio unico, il cui unico scopo è essere ricordato dalla sua bambina che, ormai grande, l'ha cresciuto. Ho un fratello, quindi non ho mai avuto bisogno di un amico immaginario, ma sono sicuro che questo scatenerà in chi lo ha avuto dei feels fortissimi!
Non vorrei continuare a spoilerare, mi sto entusiasmando troppo e rischio di degenerare perché questo film mi è piaciuto davvero, davvero, davvero, davvero tanto! E ricordatevi di guardare i titoli di coda, mi hanno fatto morire dalle risate!
Quindi rispondo alla domanda che mi sono posta a me stessa dopo aver finito di vedere il film: che emozione sei? A primo impatto mi verrebbe da dire che sono Gioia, poi mi accorgo che sono Paura. Non parlo solo della mia acluofobia, ma anche per il fatto che è tutta la vita che evito situazioni pericolose (sarà forse perché da piccola ero molto goffa?) che anche se FORSE mi hanno evitato qualche divertimento, mi hanno permesso di non rompermi mai un osso o un dente. E voi, che emozione siete?

Passiamo a qualcosa di più triste: Quando c'era Marnie (2014, Giappone, H. Yonebayashi).
Ad essere triste non è tanto il film in sé, basato dall'omonimo romanzo J. G. Robinson, quando piuttosto il fardello che è costretto a portare. Questo film, infatti, è l'ultimo film prima dell'annunciata chiusura temporanea dello Studio Ghibli. Si presume che la chiusura sia dovuta al flop di La storia della principessa splendente (io ne parlo qui), ma già dal ritiro di Miyazaki si parlava di crisi dello studio. C'è da sperare che questa chiusura sia davvero temporanea, sono in tanti ad amare questi lavori. La cosa che mi dispiace di più è che Quando c'era Marnie è in perfetto Studio Ghibli, uno di quei lavori che hanno proprio il marchio Ghibli stampato in fronte; sarà in Italia il 24, 25, 26 Agosto. È tornato ad essere quello studio che parla ai bambini, cosa che io ad esempio non ho visto in Si alza in vento, che pur possedendo delle meravigliose scene oniriche e quel favoloso stile steampunk caratteristico affronta un tema troppo pesante, anzi due se oltre alla guerra (e soprattutto al dilemma: la guerra è necessaria per il progresso? devo appoggiarla per i miei sogni anche se non sono d'accordo?) e consideriamo sacrificio d'amore di una Nahoko morente che abbandona le cure per poter sposare il suo amato e di Jiro, che forse rassegnato (o troppo preso dal suo lavoro?) acconsente e non la rimanda indietro per curarsi, cosa che secondo alcuni è discutibile.
Quando c'era Marnie invece ha per protagonisti bambine, con tutte le insicurezza della loro età. Mi è particolarmente cara Anna perché è amsatica come me. È inoltre un personaggio introverso e molto solitario, ancora una volta come me e sono quasi sicura che anche i miei compagni facevano dei risolini nel descrivermi. Quindi, Anna è insicura, le viene un attacco d'asma e viene mandata da alcuni parenti in una zona balneare, lontana dal caos e dallo smog di Sapporo. Vi risparmio fa subito un'inutile confusione: non è davvero la zia (non so come verrà tradotto qui, con i sottotitoli si riferiva all'adottante come "zietta"), è la mamma adottiva, perché Anna è orfana e la sua rabbia è dovuta al fatto di aver scoperto che i genitori prendono dei sussidi per il suo mantenimento e si sente "comprata".
In questo piccolo paese/villaggio Anna non riesce a fare amicizia con nessuno, chiama una ragazza "grassa scrofa" per il semplice fatto di essersi infastidita per le eccessive attenzioni date ai suoi occhi azzurri, cosa rara per un giapponese, tanto che a quel punto io e mio fratello abbiamo detto quasi all'unisono che forse il suo essere emarginata non è dovuto alla sua timidezza quanto piuttosto alla sua stronzaggine o, se vogliamo essere più leggeri, alla sua incapacità di relazionarsi con gli altri. L'unica persona con cui riesce a fare amicizia è quella che lei crede essere l'immagine della sua mente, una bambina ricca ma terribilmente sola di nome Marnie, che vive in una villa raggiungibile a piedi con l'alta marea e in barca con quella alta. Marnie le crea non pochi problemi, diverse volte gli zii che la ospitano sono costretti ad andare a riprendersela. Il mistero si infittisce quando Sayaka, una bimba che sta vivendo nella villa quasi restaurata, scopre che Marnie era una persona reale, che visse in quella stanza tanti anni fa. Lei a questo punto scopre di vedere un fantasma ma non se ne cura più di tanto, a dire il vero. Continua a vederla e a cacciarsi nei guai, finché non scoprirà che lei riesce a vederla perché fra le due c'è un legame molto profondo.
Tutto questo è raccontato in soli 103 minuti, che secondo me potevano bastare anche per La principessa splendente. I disegni sono tipici dello studio Ghibli, i paesaggi sono da sogno e, anche se Anna all'inizio è una di quelle ragazzine che prenderebbe sberle anche dal Dalai Lama e anche se per una buona mezz'ora -diciamo dall'offesa fino alla scoperta del diari- c'è un'alternanza sogno-realtà un po' ripetitiva che sinceramente viene da chiedersi dove voglia andare a parare la pellicola, sul finale si riprende e, sinceramente, è tutto fuorché quello che non ti aspetti. Il tema è quello forse più caso allo Studio, la famiglia. Ci sono i fragilissimi legami, che si danno per scontati o che ci fanno sentire oppressi e costretti sono qui raccontati e quelle tutte dinamiche, quelle abitudini capaci di segnare la vita di un individuo per sempre, di plasmarlo a seconda di come gli altri sono stati con noi. Quando c'era Marnie è il racconto di una famiglia che di drammi ne ha vissuti tutti e ora ha bisogno di redimersi, di trovare un equilibrio per rendere la discendenza il più felice possibile, senza lasciare quell'alone di tristezza che è stato protagonista di una finta felicità per troppo tempo.
Piccola curiosità: Marnie assomiglia in modo esagerato a Menma, la protagonista, anch'essa fantasma dell'anime Ano Hana, all'inzio del film hanno addirittura la stessa camicia da notte. Non so se è un caso o una tradizionale rappresentazione degli spiriti giapponesi però l'ho trovata una cosa davvero curiosa, magari qualcuno mi saprà dire di più!

lunedì 20 luglio 2015

Terminator: Genisys | Spy | Recensione

Sono stata bocciata all'unico esame che potevo dare a Luglio, quindi ho un sacco di tempo libero. In poche parole, questo significa che la mia strada prenderà due direzioni: tanto mare, perché vivo in Sardegna e se non me lo godo non è estate, e tanti pomeriggi a guardare film e altre cose. Le due cose probabilmente di alterneranno, perché possedendo animali, è necessario che in famiglia si faccia a turno per fare da bambinaia.
Ieri è toccato a me e mio fratello, ci siamo visti due film.

Terminator: Genisys (2015, USA, Alan Taylor) è, come avete intuito, un nuovo capitolo della saga Terminator. È difficile riuscire a classificarlo, è allo stesso tempo un prequel, un reboot e un sequel e lo è perché ci sono tante di quelle linee temporali che secondo me uno potrebbe perdersi. Credo, fra l'altro, che sia necessario aver visto i capitoli precedenti per capire qualcosa, io ero molto piccola quando li ho visti la prima volta e mio fratello mi ha dovuto aiutare a rimettere in ordine i miei ricordi.
Inizialmente il film si inserisce in una linea temporale dove troviamo Connor già grande che salva un ignaro Kyle ancora bambino da morte certa. Subito dopo li troviamo grandi, al giorno in cui Skynet verrà sconfitto e manderà un Terminator nel 1984 per uccidere Sarah; il bellissimo Kyle lo segue e vediamo l'Undicesimo dott... scusate, Skynet, uccidere il povero Connor. Fin qui ci siamo, la storia può ripetersi all'infinito in infinite linee temporali e tutti i pezzi tornerebbero.
Solo che poi iniziano a succedere cose strane, tipo il primo Terminator che si scontra con un altro Terminator uguale ma più vecchio e c'è una lotta Arnlod VS Arnold dove il più vecchio ha la meglio. Connor invece è nudo e confuso perché durante il viaggio ha visto cose che appartengono ad un suo passato mai esistito e si ritrova a fuggire da un poliziotto asiatico che in realtà è un cazzuttissimo robot mutaforma, salvandosi grazie a Sarah e Papà (il Terminator vecchio). Kyle è convinto che le sue visioni durante il viaggio nel tempo significhino che il giorno del giudizio sia spostato al 2017, vi si recano ma, atterrando nudi su un'autostrada vengono scambiati per terroristi a arrestati. Qui scoprono che Skynet è in certo senso Genisys, un programma informatico che connette tra loro tutti i dispositivi elettronici e che manca pochissimo al suo lancio, ovvero il nuovo giorno del giudizio. Incontrano Connor e a nessuno viene da chiedersi del come mai in 20 anni non sia invecchiato. In realtà Connor è stato trasformato in una macchina umana, nel senso che è stato cambiato a livello genetico ed è quasi invincibile come una macchina ma pensante, subdolo e calcolatore come solo un umano sa essere. Da qui in poi il film è diciamo stabile sulla stessa linea temporale, procede con inseguimenti e risse. Se lo guardate rimanete fino a metà dei titoli di coda perché c'è una sorpresina che io mi aspettavo, Skynet è interpretato da Matt Smith. Il Dottore non muore mai, per quanto tragica possa essere la situazione.
La cosa che mi è piaciuta di più è sicuramente il fatto che siano riusciti ad aggirare la vecchiaia di Arnold dicendo che Terminator è ricoperto di una carne che in quanto tale invecchia. Ma soprattutto, una cosa che ho sempre apprezzato della saga è come, nonostante le botte ignoranti, si riesca sempre a lasciare qualche dubbio alla fine, come se fosse un enigma complicatissimo. Non lo so, forse è il nostro attaccamento alla speranza, poter dire  "ma quindi in tutte le linee temporali future ci sarà un Genisys da sconfiggere?" senza tralasciare poi un meraviglioso spunto su come sia forte la nostra dipendenza tecnologica oggi, forse tanto da dimenticarci che non è tutto. L'unica cosa che mi fa storcere il naso è che, proseguendo il film in questa direzione, tutti i capitoli del 1997 non hanno più senso d'esistere, è come se fossero stati cancellati da questo. L'intento era probabilmente quello di trattare temi più attuali proprio come la dipendenza da tecnologia e spostare anche il tutto un po' più in là nel futuro facendoci pensare che magari fra due anni la situazione sarà proprio così grave e, ultima ma non ultima, rifar partire una triologia (già annunciati gli altri capitoli + una serie tv) e fare i big money con i nostalgici nati nei mitici anni 80. Insomma, un film non necessario ma sicuramente non trascurato.

Invece Spy (2015, USA) è un'altra cosa. Ci tengo a precisare una cosa, prima di raccontarlo e dirvi le mie opinioni. Quand'ero piccola, mia mamma guardava un sacco di serie tv. Io ne guardavo qualcuna di rado ma Una Mamma per Amica mi appassionò tantissimo! Possiamo dire che è la prima serie tv che ho guardato per intero (più di una volta) e rimane ancora una delle mie preferite. Mi ci vedevo moltissimo in Rory, per la passione nello studio anche se i miei risultati non sono mai stati perfetti come i suoi e anche perché col passare degli anni ho iniziato a desiderare di fare da grande il suo stesso lavoro dei sogni: la giornalista.
La protagonista del film è Melissa McCarthy, ovvero Suki, personaggio che io ho tanto amato assieme a Lane. Ho sempre apprezzato il suo modo di recitare, per questo mi vien da storcere il naso quanto sento le lamentele per la sua partecipazione al reboot di Ghostbusters. Molti non la conoscono ma la criticano quando invece è bravissima e secondo me andrà benissimo anche come acchiappa fantasmi!
Comunque, il film è una commedia. Una commedia americana, quindi volgarotta nei dialoghi e straripante di luoghi comuni, basti pensare che nel film si parla per l'appunto di spie della CIA che devono impedire ai terroristi la vendita di una bomba ai russi o agli arabi. In pratica mancano solo i pompieri. Ma è proprio la sua demenza che mi è piaciuta, ho riso tanto e di cuore.
Susan è un'analista della CIA, segue Bradley nelle sue missioni, è il suo angelo e i suoi occhi. È insoddisfatta poiché voleva lavorare sul campo, ma soprattutto insicura. È innamorata del suo agente e non la biasimo perché siamo tutti, uomini e donne, innamorati di Jude Law ma lui non pare non accorgersi o meglio, preferisce far finta di niente. Durante una missione, Bradley viene ucciso e Susan si ritrova ad entrare in campo in prima persona, lavorando sotto coperture imbarazzanti, litigando ripetutamente con un pomposo ormai-ex agente Rick Ford, che fa così tanto il duro da inventarsi un mucchio di balle impossibili e continua a metterla nei pasticci ma soprattutto si scambia insulti più che gratuiti con Rayna, la donna che possiede la bomba ed è quindi il bersaglio ma che si ritrova a dover difendere a costo delle sua stessa vita.
La cosa senza dubbio migliore di questo film, la cosa che mi ha fatto più ridere è la scena girata in Italia. È sempre interessante vedere come ci vedono gli altri, nel caso i mille locali sparsi in giro per il mondo chiamati "bunga bunga" non ci siano bastati. Appena arrivata a Roma, Susan si ritrova davanti due ragazzetti che fanno apprezzamebti e ammiccano le belle ragazze e, più avanti, le chiederanno quanti chili di seno ha. Gentiluomini, quindi. La spia italiana è una che allunga troppo le mani e a prescindere dalle occasioni continua insistentemente a fare battuta a sfondo sessuale per cercare di portarsi la spia a letto. Insomma, diciamo che mi ha fatto ridere però mi ha dato anche da pensare. Il film nel complesso scorre, tra una gag e l'altra, non mi ha mai fatto guardare quanto mancava alla fine e certe demenzialità, come quelle dove c'è 50 cent, non le vedevo in un commedia da moltissimo tempo. È comico in modo intelligente, senza cadere nel nonsense e senza essere eccessivamente volgare. Però, ecco, alcuni effetti speciali sono davvero fatti male e secondo me si sarebbe potuto fare di meglio.
Giusto una cosa, devo dirla: è impossibile che una donna (o un uomo) rifiuti una cena con uno bello come Jude Law, anche se è una cena fine a sé stessa. Penso sia abbastanza piacevole anche solo stare lì a fissarlo.

mercoledì 8 luglio 2015

Il libro della vita | Jurassic World | Recensione

Ciaone ragazzi. Sono in piena sessione estiva (e sto scrivendo la tesi) quindi il tempo è quello che è e dovete perdonarmi. Film ne ho visto pochi, oggi mi occuperò di due.

Il libro della vita (2015, USA, Jorge Gutierrez) è un film che nella produzione ha Mr. Guillermo del Toro. Sono stata letteralmente dal trailer, con tutti quei colori e quelle musiche, mi è piaciuto da morire e quindi me lo sono guardato. Mi piacerebbe, un giorno con più tempo, guardarlo in spagnolo. Il motivo è molto semplice.
Ci sono due cose che non ho gradito in questo film: la prima, che riduco per ora all'adattamento italiano, sono le musiche tipiche messicane con testi in italiano che secondo me storpiano non poco il contesto (come per Tchaikovsky nel film Lo schiaccianoci 3D) il secondo, è la storia "di contorno" dei ragazzini in visita per punizione al museo.
Comunque, tralasciano questo piccolo particolare, io adoro le maschere de La Muerte tipiche del Messico e in questo film c'è ne sono in abbondanza.
Sì perché questo film, spagnoleggiante fino al midollo, racconta del triangolo amoroso fra Manolo, la bella Mar
ía e Joaquín, che al momento sono ancora bambini che si contendono l'amore al cimitero, nei giorno in cui si va a trovare i morti per far sì che questi non vengano mai dimenticati. Sul loro amore, la Santa Muerte, che si presenta come una sensualissima donna messicana dal grandissimo sombrero, fa una scommessa con il suo amato Xibabalba (che a me ha ricordato Discord della serie My Little Pony) che è stanco di presiedere quel mondo oltre-la-vita dove ci sono le anime dimenticate e tutto è molto cupo e triste. La Santa Muerte scommette su Manolo, Xibalba invece pensa che a conquistare il cuore della giovane sarà il valoroso Joaquín. Quest'ultimo però dona, di nascosto, un piccolo aiuto al suo baldo giovane: una spilla che lo rende invincibile. E infatti nella vita si rivelerà un vincente, anche quando María sarà mandata in Europa perché troppo indisciplinata, allontanata quindi da San Angel e dai suoi due pretendenti. Manolo invece si rivela insicuro, deve fare i conti con uno dei più grandi luoghi comuni del cinema: lui vuole guadagnarsi da vivere facendo musica, mentre i suoi parenti pretendono che lui faccia il torero nonostante trovi sbagliato uccidere un toro (spunto interessantissimo per un film del genere). Al ritorno di María, ormai grande, si scateneranno una serie di tentativi di conquista da parte di entrambi i ragazzi, è palese che Manolo sia il preferito ma il padre della giovane vorrebbe che lei si sposasse con Joaquín, perché è un giovane che si occupa di difendere la città dai banditi e suo padre scacciò dal paese uno dei più efferati criminali che San Angel abbia mai conosciuto. Dopo una discussione, Manolo chiede alla sua amata di vedersi in privato e qui Xibalba fa sì che si crei una scena alla Romeo e Giulietta dove María viene addormentata e Manolo, colmo di sensi di colpa, si fa uccidere dal serpente mentre la sua amata di risveglia e si ritrova davanti al fatto di dover sposare Joaquín, poiché del frattempo egli ha minacciato di andarsene e il criminale ha scoperto della sua spilla e sta tornando a San Angel per riprenderselo.
Manolo nel frattempo incontra tutti i suoi antenati nel mondo de la muerte e con il loro aiuto riesce a farsi accompagnare prima da un uomo che fabbrica candele che ricorda terribilmente la nuvola del corto Pixar Partly Cloudy. Raggiunta la Santa Muerte, tutti coloro che dovevano tornare alla vita possono finalmente farlo e affrontare così il ritorno del nemico al villaggio.
Come ho già detto, il tutto è contornato da quella che dovrebbe essere la storia principale, ovvero quella di alcuni ragazzini che per punizione devono visitare un museo. Sì, per punizione. E vabbè! A parte questo, secondo me i loro interventi e commenti sporadici fanno perdere un po' l'attenzione, sono sostanzialmente inutili. Se proprio non se ne poteva farne a meno, sarebbe stato meglio secondo il mio modestissimo parere inserire una brevissima sequenza alla fine, come ad esempio in Balto. Per il resto nulla da obbiettare, i colori sono bellissimi a la storia è ironica al punto giusto (bellissimo il maialino che María si porta dietro, come Homer Simpson) da essere apprezzabile anche per i bambini pur trattando un tema triste e complicato come la morte.

Jurassic World (2015, USA, Colin Trevorrow) è tutt'altra roba. Come stavo dicendo a mio fratello, si basa su una serie di cattive idee che secondo me il film poteva sottotitolarsi, parafrasando Lemony Snicket, "una serie di sfortunate idee". Perché voglio dire:
Fare un nuovo parco fra le ceneri di quello vecchio con lo stesso tema chiuso perché ha causato un sacco di morti è una cattiva idea;
Creare un dinosauro con i pregi di tanti altri animali è una cattiva idea;
Mandare i tuoi nipoti minorenni e un po' indisciplinati, di cui uno in piena adolescenza con gli ormoni che gli fanno fumare le orecchie e un leggero vizio nel mettere in  pericolo il fratello, a vagare in una palla fra i dinosauri è una cattiva idea.
Però m'è garbato da morire: prima di tutto il fatto che il proprietario fosse la versione indiana dell'Iron Man di Robert Downey Jr, poi il fatto che la zia stacanovista è riuscita a correre nelle foreste, scappando da un dinosauro/mostro/ibrido potenzialmente invincibile che si chiama Indominus Rex  ma anche Godzilla ci stava benissimo, è qualcosa ai limiti dell'impossibile ed io da ragazza che sui tacchi riesce a fare 5 passi e poi uno a terra, non sapevo se ridere o piangere. Ma soprattutto sono tornata a quand'ero piccolina, la scena finale giuro che mi ha quasi fatto commuovere, giuro. È pericoloso fare sequel di questo tipo, su film cult e che alcuni "nerd" hanno considerato come roba da "nerd", quindi sacra (basti pensare al pandemonio che si sta creando attorno al fatto che nel sequel di Ghostbusters le protagoniste saranno femmine), quindi le critiche me le aspettavo a priori, più o meno come da alcuni "Otaku" - otaku si fa per dire, eh - per 47 Ronin. Io ho lasciato stare e mi sono gustata questo film in tutta la sua fantasia, perché già il primo era qualcosa di altamente imporbabile, ma finché non avrò la possibilità di tornare bambina correndo per Disneyland Paris mi accontento anche di questo.
E poi un'altra cosa: sin dal primo Jurassic Park mi sono messa a fantasticare su quanto bello e vantaggioso potesse essere avere un dinosauro, nello specifico un T-Rex, addestrato. Chris Pratt era lì ad addestrare velociraptor come fossero delfini in un parco acquatico e c'è persino un Mosasauro che delizia come se fosse un'orca. Roba da matti. Io che mi ero sempre immaginata, in deliri da persone che avrebbe bisogno di caffeina ma non gradisce il caffè, di presentarmi alle verifiche prima e agli esami poi, con un T-Rex per prendere 30 e lode come se niente fosse, avevo davanti una dimostrazione tangibile che non ero poi così tanto fantasiosa.
Non sto qui a raccontarvi la trama perché credo che non ce ne sia bisogno, chi non vede Jurassic World non ha visto Jurassic Park e quindi non ha bisogno di niente. Chi aveva bisogno come me di tornare ai bei vecchi tempi l'ha già visto. E non ditemi che la morte dei brontosauro non vi ha ricordato la morte del nonno di Piedino di La Valle Incantata. Sentiamoci vecchi. E nostalgici.